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Federlogistica: il Ponte sullo Stretto va fatto

Il presidente Falteri: "È la scorciatoia per una grande area franca, una Zes"

Secondo Davide Falteri, presidente di Federlogistica (associazione di categoria che riunisce le imprese operanti nel settore della logistica e dei trasporti in Italia), il Ponte sullo Stretto di Messina va fatto. “Guardare al Ponte sullo Stretto come a una pur eccezionale opera infrastrutturale -ha dichiarato in un comunicato-, significa aver perso qualsiasi visione per il futuro e subire passivamente la condanna del nostro Paese alla decadenza. È vero: potrebbero accadere molte cose negative, potrebbero verificarsi molteplici intoppi, ma specialmente politica e impresa potrebbero non capire che quella del Ponte sullo Stretto di Messina è un’occasione unica. L’occasione unica per rinsaldare un Paese che è sempre stato diviso fra Nord e Sud, azzerare progressivamente un quadro di ingiustizie sociali e consentire all’Italia di sfruttare a pieno quella centralità in un Mediterraneo tornato a essere centrale e decisivo, anche una connessione sana e non malata con altri continenti, l’Africa, un Medio Oriente che si candida a essere una forza unica nel panorama mondiale e un’Europa troppo sbilanciata a nord che anche per questo ha fallito i suoi obiettivi di coesione e crescita”.

Come riporta una nota dell'associazione, per Falteri, che si propone come voce fuori dal coro proponendo una chiave di lettura anomala, "il Ponte è la scorciatoia per una grande area franca, una Zes, peraltro già approvata, sdoppiata in una locazione occidentale e orientale che teoricamente coprono quasi 5.580 ettari, con circa il 35% assegnato alla Sicilia occidentale e il 65 % a quella orientale. Zona economica speciale che per la Sicilia significa credito d’imposta per investimenti in beni strumentali con fondi che possono arrivare fino a 50-100 milioni di Euro in base al progetto; semplificazioni amministrative e autorizzative: procedura semplificata con sportelli unici e tempi ridotti anche di un terzo; agevolazioni fiscali ulteriori, come una riduzione del 50% dell’imposta sul reddito per i nuovi insediamenti nelle Zes, per un periodo iniziale di 7 anni (prorogabili); Zona franca doganale in alcune aree portuali (possibile istituzione) e maggiore integrazione logistica e infrastrutturale (es. corridoi doganali, interporti, snodi ferroviari); programmazione supportata da fondi Pnrr, con investimenti per il 'last mile' nei porti e  negli interporti. Una Zona franca con porti collegati con tutte le principali destinazioni del Mediterraneo, integrata con un nuovo sistema infrastrutturale e logistico, può davvero rappresentare la risposta, non una risposta, anche ai tanti progetti di re-shoring o friendly shoring, lanciati senza una precisa programmazione e scelte di localizzazione credibili, dopo la pandemia del Covid.

'Un tempo -prosegue Falteri- si parlava di granaio del mondo riferendosi a Paesi come l’Ucraina o al Nord America. La Sicilia, ed è solo un esempio delle sue potenzialità, può diventare il polo logistico dell’ortofrutta del Mediterraneo e dell’Europa nonché delle industrie alimentari e conserviere connesse. Ma è in condizione, per la sua posizione geografica, di essere anche l’hub delle nuove risorse energetiche, idrogeno incluso. E senza dimenticare le potenzialità (anche culturali e storiche) per assumere nel quadro di una grande Zona franca interconnessa, di una start up region per l’innovazione tecnologica'. Per decenni questa opera infrastrutturale determinante è stata vissuta e valutata come il risultato di una partita che divideva e divide due opposte tifoserie. 'Oggi -afferma Falteri- è il momento di dire basta: con un mondo condizionato da guerre commerciali, dazi e contro-dazi, il Ponte ha tutte le caratteristiche per diventare l’arteria di un corpo economico e sociale sino a oggi sotto sviluppato spesso proprio per miopia politica'. 'E la logistica, gemellata al regime di Zona franca -conclude- può e deve essere il valore aggiunto, attivando con il Ponte una reazione a catena di infrastrutture anche finanziabili da privati, di insediamenti industriali non schiavi di aiuti pubblici e di un network di collegamenti destinati a esaltare le potenzialità di una terra che per troppi anni (come gran parte del Mezzogiorno) è stata considerata alla stregua di una battaglia persa'". 

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