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Federagenti, l'eterno problema dei porti italiani

Se ne parla poco o niente ma le questioni restano irrisolte: come i dragaggi o il caso Venezia

Sembra che tutto vada bene nel mondo portuale italiano e invece, per qualcuno, c'è da "rimboccarsi le maniche". Lo sostiene Alessandro Santi, appena riconfermato alla guida di Federagenti (Federagenti: Alessandro Santi confermato alla presidenza). Un'esortazione, quella di Santi, indirizzata a chi pensa che vada tutto bene in un momento come questo, in cui i porti possono far fare il salto di qualità e fornire al sistema economico nazionale le armi per un rilancio. 

“Si parla poco dei porti italiani perché funzionano -dice il presidente-. Ma gli stessi porti sono parte di un sistema logistico italiano che ha prestazioni mediocri galleggiando al 19° posto mondiale del Logistic performance index di World Bank dietro a tanti paesi europei. E questo sistema logistico inefficiente costa alle imprese italiane l’11% in più rispetto a un qualunque competitor europeo". 

"Il sistema portuale italiano -prosegue Santi- si colloca fra i primi 25 al mondo per numero di toccate di navi container ma è al 18° posto per efficienza di sbarco con un tempo medio di 0,92 giorni contro la media di 0,71 indicata da Unctad, ossia la Conferenza delle nazioni unite sul commercio e lo sviluppo”.

“Il sistema portuale italiano -aggiunge il presidente di Federagenti- è sempre quello che per ottenere risposte deve confrontarsi con otto ministeri diversi e dove la parola semplificazione è la più invocata da tutti ma che, nei fatti, non trova applicazione”. 

L’esempio più evidente delle difficoltà soprattutto burocratiche che affronta il settore, è quello dei dragaggi, esempio richiamato anche durante l’assemblea di Assoporti: in tutti i porti europei dragare i fondali rientra nell’ordinaria amministrazione gestionale dei porti, pur nel rispetto di sicurezza e ambiente. 

Nei porti italiani, invece, i dragaggi diventano incubi, attività straordinarie prive di ogni certezza in termini di tempi ma anche di fattibilità: ciò determina perdita di competitività e strategicità dei porti stessi, a vantaggio spesso di porti extranazionali. 

Quel che è peggio, secondo Federagenti, è che di porti non si parla neppure a livello governativo o parlamentare: e poco importa, fa notare l'associazione, che oggi, nel totale riassestamento delle catene logistiche, si determini la necessità di maggiore efficienza e maggiori pescaggi. 

Le navi che trasportano materie prime come grano, acciaio, argille, saranno sempre più grandi perché impegnate su rotte alternative al Mar Nero come India, Brasile, Malesia, Canada: necessiteranno, quindi, di porti più “profondi” e competitivi. Ma questo non sembra importare a nessuno se non agli addetti ai lavori.

Venezia, infine, viene additata da Federagenti come porto simbolo di un certo "immobilismo ambientale”: ha subìto, dice Santi, l'ennesimo stop in questi giorni da parte della commissione Via/Vas circa il Piano morfologico, evidenziando una volta di più i danni derivanti da competenze sparse su più ministeri. 

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