Nel nostro Paese le grandi opere vengono realizzate solo sull’onda emotiva di tragedie. È stato il caso del ponte Morandi, sta avvenendo adesso in materia di piano energetico a seguito della guerra in Ucraina, accadrà certamente anche per il controllo dei ghiacciai e della crisi idrica. Non ultima, sta avvenendo con un'opera considerata fondamentale come la Diga di Genova. La constatazione, drammatica, ben oltre la denuncia, arriva da Alessandro Santi, presidente di Federagenti, la Federazione nazionale degli agenti marittimi.
In un comunicato, Santi sottolinea come anche le strutture ministeriali siano prigioniere delle scelte sbagliate compiute negli ultimi decenni: una fra tutte, quella di depauperare, al punto da renderli inefficienti, gli uffici tecnici dei ministeri che dovrebbe sveltire le procedure di approvazione, verifica e realizzazione delle grandi opere. “Il settore portuale e delle opere connesse con il funzionamento dei porti e della catena logistica -spiega-, sta diventando, e non solo per il caso della Diga di Genova, la cartina di tornasole di un sistema che non funziona e che non ha altra possibilità di funzionare se non attraverso l’adozione di norme speciali, come accaduto nel caso del ponte Morandi".
“Tutti gli operatori marittimi ma anche il mondo della produzione industriale che ha scoperto la centralità strategica dei porti -prosegue Santi-, non possono più nascondere la testa sotto la sabbia e affermare che tutto va bene entusiasmandosi per le grandi prospettive schiuse dal Pnrr. Purtroppo lo scenario sul quale il caso della Diga di Genova, ma anche altre opere portuali, per primo il cronico blocco dei dragaggi, rendono obbligatoria una seria riflessione complessiva".
A peggiorare la situazione contribuisce, secondo il presidente, l’atteggiamento oltranzista assunto dall’Europa in tema di sostenibilità. “Ci troviamo di fronte a una sostenibilità impossibile -dice ancora Santi- che rischia di penalizzare solo l’Europa che contribuisce per l’8% all’inquinamento mondiale e alle emissioni nocive. Bisogna cambiare rotta, pretendendo che l’Italia si doti di una visione strategica di paese di medio lungo termine”.
"La seconda manifattura e il terzo paese per pil d’Europa -aggiunge Santi- non può perdere in competitività strategica e magari far diventare le aziende nazionali facile obiettivo di acquisizione da parte di capitali esteri -aggiunge il manager-. A meno di non consegnare il nostro Paese al modello, che sembra piacere a qualcuno, del resort Italia di cui La Serenissima Venezia sta diventando funesto archetipo".