Le vendite di auto elettriche sono in aumento in tutta Europa. Secondo l'ultimo rapporto Global Electric Vehicle Outlook, ogni settimana ne vengono vendute più che nell'intero 2012. Nonostante la crescente domanda, la carenza di componenti per la costruzione delle batterie (litio, nichel e cobalto) può minacciare le future forniture, come già accade ora. Questo solleva la domanda se non sia giunto il tempo di concentrarsi sulle vetture ad idrogeno.
Il continente asiatico è quello che più di tutti scommette su questo vettore energetico. Basti pensare che il Giappone prevede di avere 800.000 vetture ad idrogeno sulle strade entro il 2030. La Cina ha fissato l'obiettivo di un milione entro il 2035. È probabile che questi primi passi riducano i costi, sollecitino gli investimenti e la catena di approvvigionamento. Ed infatti le case automobilistiche Toyota e Hyundai, come mosche bianche nel settore, stanno investendo molto nell'idrogeno.
Tuttavia, adesso anche i costruttori europei stanno aprendosi a tale tecnologia. Tra questi c'è la tedesca Bmw, che vorrebbe affiancare queste auto a quelle elettriche: c'è in programma il lancio dell'iX5 Hydrogen entro il 2022. Anche il Gruppo Stellantis ha intrapreso una produzione limitata di furgoni commerciali ad idrogeno. Altre, come le tedesche Mercedes ed Audi hanno accantonato i loro piani.
Ma cosa cambia tra una vettura ad idrogeno ed una elettrica? Un veicolo a batteria è alimentato dall'elettricità immagazzinata in una batteria e si ricarica collegandosi alla rete elettrica. Un'auto ad idrogeno produce la propria energia elettrica attraverso una reazione chimica che avviene nelle celle a combustibile, alimentando il motore elettrico.
Tuttavia, l'idrogeno solleva ancora numerose sfide per le case automobilistiche. Anzitutto la bassa efficienza a causa delle elevate perdite di energia (62% circa): per dividere l'acqua in idrogeno ed ossigeno occorre molta energia e nel momento in cui si trasporta si verificano ulteriori fuoriuscite. Senza dimenticare che le infrastrutture di rifornimento sono poche e che il rischio infiammabilità è molto alto. Per questo motivo occorre una pianificazione ed un coordinamento che i governi, l'industria e gli investitori stentano a riconoscere.