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Il ministero ferma il Waterfront di Genova

Il Comune non ha ottemperato alle condizioni ambientali del decreto del 2021

Si è già fermata la costruzione del canale del Waterfront di Genova. Il corso d’acqua che collegherà la Fiera al Porto antico ha subito uno stop inatteso, bloccato dal ministero della Transizione ecologica con un decreto che chiede al Comune di Genova, responsabile del progetto, un’integrazione di documenti. Il Comune, si legge nel decreto così come riportato dal quotidiano Il Secolo XIX, non ha ottemperato a tutte le condizioni ambientali richiamate da un decreto, dell’aprile 2021, firmato dai ministri della Transizione ecologica Roberto Cingolani e da quello della Cultura, Dario Franceschini.

Anche se il comune minimizza ("Risolveremo tutto nel giro di pochi giorni", assicura l’assessore comunale ai Lavori pubblici, Pietro Piciocchi) pare che invece ci sia parecchio da integrare. Secondo quanto scrive il ministero, infatti, il proponente, cioè il Comune "non ha provveduto a redigere e presentare il richiesto progetto di cantierizzazione". Secondo il decreto Cingolani-Franceschini, avrebbe dovuto presentarlo articolato in 8 punti, prima della valutazione d’impatto ambientale: e, invece, pare, si sia limitato a rispondere ad alcune richieste di uno degli 8 punti. Cioè, come dice il ministero, "solo alcune (...) e in modo non del tutto conforme alla normativa vigente".

Le richieste inevase vanno dai "campionamenti di terre e acque sotterranee sull’intera area di intervento", alla descrizione degli "interventi di ripristino ambientale da realizzarsi al termine delle attività di cantiere", passando per la ricerca di "soluzioni alternative all’impianto di Scarpino per il recupero del materiale da scavo" e al "piano di circolazione dei mezzi d’opera con i relativi dettagli operativi (percorsi impegnati, tipo di mezzi, volume di traffico)".

Pare, inoltre, che i documenti già esaminati dalla commissione, e che hanno convinto il ministero a chiedere le integrazioni, non fossero soltanto carenti ma anche tardivi e non del tutto conformi alla legge: anziché presentare il richiesto piano di cantierizzazione, il Comune, scrive la commissione ministeriale nel suo parere, "ha presentato un Piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo", il Put, ma lo ha fatto quando la valutazione dell’impatto ambientale si era già conclusa.

Durante la valutazione, il Comune "aveva presentato una relazione denominata Piano di gestione delle materie che ovviamente -scrive la sottocommissione nel suo parere- non era un Put, essendo le materie da scavo gestite come rifiuti da avviare a smaltimento". Invece, queste materie avrebbero necessitato di tutte le cure elencate negli 8 punti, come ad esempio le "aree di stoccaggio temporaneo" per far decantare i fanghi degli scavi; il "sistema di percolamento" per la raccolta delle acque degli scavi; le "schede tecniche dei prodotti utilizzati" per le perforazioni.

Tutte precauzioni considerate necessarie per un’opera monumentale come il Waterfront firmato dall'archistar Renzo Piano. Un dato su tutti: la sola costruzione del corso d’acqua, scrive il Comune nel suo Put e lo ricorda il ministero, "determinerà la produzione di circa 52.084 m3 di terre e rocce da scavo": più di 47.500 m3, saranno consegnati ad altri cantieri, da Casei Gerola, in provincia di Pavia, a Fossano, nel cuneese, che li riutilizzeranno. I restanti 4.500 m3 saranno smaltiti.

"È una normale fase interlocutoria con il ministero" assicura l'assessore Piciocchi che ammette comunque che qualche ritardo c’è stato anche se non per colpa del Comune. "Il parere della sottocommissione è del 6 aprile ma ci è arrivato soltanto l'11 maggio", dice. A complicare le cose, spiega l'assessore, è anche arrivato "l’attacco hacker che, ad aprile, ha colpito il ministero della Transizione ecologica".

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