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DB Schenker Italia nel mirino della magistratura

Il colosso logistico in amministrazione giudiziaria per presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nella filiale

"Impressiona l’estrema cedevolezza manifestata da plurimi esponenti di Schenker Italia nel relazionarsi con una persona di questo spessore delittuoso e nell’agevolarne l’attività". Lo scrivono i giudici del tribunale di Milano che ha disposto l’amministrazione giudiziaria per presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta della filiale italiana di DB Schenker. I magistrati parlano, dunque, del colosso tedesco della logistica e dei trasporti, con 70.000 dipendenti e oltre 2.000 sedi nel mondo: nel nostro Paese conta 1.400 dipendenti, 37 sedi e quasi 800 milioni di Euro di fatturato l’anno su un giro d'affari complessivo da oltre 16,4 miliardi di Euro.

Al centro del provvedimento i rapporti di alcuni dirigenti con poteri decisionali di DB Schenker Italia con Nicola Bevilacqua, classe 1952 originario di Nicotera (Vibo Valentia) e residente nel Comasco: non uno qualunque, ma un personaggio considerato affiliato della ‘ndrina Mancuso di Limbadi che ha ramificazioni accertate in Lombardia, condannato per associazione mafiosa ed estorsione aggravata. A disporre il controllo giudiziario, in base all’articolo 34 del Codice antimafia, è stata la Sezione autonoma Misure di prevenzione presieduta da Fabio Roja, che ha accolto le richieste dei pm della Dda Silvia Bonardi e Paolo Storari. Stessa misura di prevenzione è stata applicata anche a un’altra azienda di autotrasporti e logistica, la Aldieri.

Le indagini dell’Antimafia sono scattate dopo un sequestro di quasi 30 kg di cocaina eseguito il 15 marzo 2020 al porto di Dover, in Gran Bretagna: secondo quanto riporta l'autorità giudiziaria, la droga era nascosta "all’interno di un tir contenente i bancali di derrate alimentari caricati due giorni prima" alla filiale di Guanzate (Como) dell’impresa italiana che fa parte del colosso tedesco della logistica.

Le Fiamme gialle del Gico e i carabinieri di Como hanno raccolto la testimonianza di un responsabile delle spedizioni della società: è così che sono emersi i “rapporti commerciali” tra Schenker Italiana e Bevilacqua "radicati da tempo", tanto che avevano cominciato a emergere anche i "rischi" che i trasporti della Schenker fossero "coinvolti" in traffici di droga. Anche perché nel camion sequestrato a Dover c’erano "cinque bancali di prodotti caseari che la Fiuto Autotrasporti", azienda riconducile a Bevilacqua e intestata a sua moglie Anna Fiuto, "aveva prelevato il giorno prima, per conto di Schenker, da un’azienda in provincia di Piacenza e portato a Guanzate per l’esportazione in Inghilterra".

Tramite l’azienda intestata alla moglie, Bevilacqua, indagato per intestazione fittizia di beni, si sarebbe infiltrato nei subappalti di trasporto di Schenker Italiana (non indagata). In sostanza, secondo gli inquirenti, Bevilacqua sarebbe riuscito a piazzare la moglie all’interno della DB Schenker, infiltrandosi così nelle attività italiane del gruppo.

La società, per ora, è sottoposta alla curatela di un amministratore giudiziario per la "rimozione dei fattori inquinanti" e la "bonifica dei contesti inquinati, previa analisi" di tutte le sedi italiane "per verificare se esistano altre forme di infiltrazione". La richiesta dei magistrati è, invece, quella di controllo giudiziario per quanto concerne la Aldieri: un provvedimento che si "fonda sui rapporti commerciali instaurati" con "l’impresa Fiuto Anna Autotrasporti", formalmente riferibile alla donna, secondo gli inquirenti, ma "gestita dal marito con l’ausilio dei figli".

Secondo il giudice che ha disposto la misura, "alcuni dirigenti, muniti di potere decisionale, delle società (…) avrebbero agevolato, in maniera quantomeno colposa o negligente, l’attività del soggetto condannato per associazione mafiosa e dell’azienda a lui riconducibile". I giudici rimarcano il fatto che, da una società come la Schenker, ci si attende "un'organizzazione interna e procedure coerenti con la posizione apicale di mercato; la diffusione, all’interno dell’ente, di una cultura della responsabilità e della prevenzione dei rischi; l’adozione di prassi gestionali in grado di analizzare e risolvere autonomamente eventuali scivolamenti verso condotte illegali; la capacità di prevenire l’affidamento incauto di lavori e servizi a fornitori inidonei o pericolosi; un sistema efficace di controlli interni".

La sede italiana del colosso tedesco, invece, a parere degli inquirenti, avrebbe mostrato "una permeabilità a ingerenze esterne non dissimile da quella che si potrebbe attribuire a una piccola impresa, per di più con elementi di rischio esaltati dalle dimensioni e dalla portata delle attività svolte: la strumentalizzazione della società ad interessi delittuosi porterebbe ad un’organizzazione criminale non solo ritorni economici particolarmente ingenti, comprensivi dell’occasione di riciclare capitali, operare false fatturazioni, favorire il lavoro nero e il caporalato di mano d’opera, ma l’accesso sotto copertura ad un network mondiale di servizi logistici in grado di esaltarne, in maniera significativa, l’operatività delittuosa".

Secondo quanto riporta Ilfattoquotidiano.it, a suffragare l'ipotesi di stretti rapporti tra l'esponente delle 'ndrine e la società tedesca, ci sono anche alcune intercettazioni. Una, in particolare, nella quale viene riportato un colloquio del cognato di Bevilacqua che dice: "Anche in Schenker, volevano mandare via tutti! E prendersi tutti i posti loro!" con il "proposito di imporsi all’interno" di Schenker Italiana e "acquisire quante più attività aziendali possibili". Replicando "lo schema operativo che anni prima aveva assicurato l’assoggettamento al clan Mancuso degli autotrasportatori operanti nel Vibonese e nel Lamentino", ossia "quello di mandare via tutti e prendersi tutti i posti" anche con "attività estorsive".

La ricostruzione della procura metterebbe in evidenza "gli elementi di fatto raccolti emblematici di quella zona grigia dei rapporti tra mondo economico e criminalità organizzata in cui l’imprenditoria che entra in contatto con la ‘ndrangheta si presenta, abitualmente, non come una mera vittima ma come soggetto interessato, in condizioni di reciprocità, a trarre i vantaggi (quanto meno, iniziali) di una relazione che può determinare, come si è visto, il pagamento di prezzi inferiori per beni e servizi, l’accesso a un mercato del lavoro che eufemisticamente può definirsi deregolamentato e l’ampia serie di servizi extralegali, volti all’appianamento di ostacoli, ad abbattere i costi, contenere eventuali conflitti sindacali ed a fornire ‘protezione’, che ordinariamente il mafioso può offrire".

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