Nel rapporto J.D. Power più recente, Lexus e Nissan occupano i primi posti, e la maggior parte dei modelli capaci di superare i 400.000 km proviene dal Giappone. Ma da dove nasce questa superiorità?
Alla base c’è il kaizen, la filosofia del miglioramento continuo: ogni fase produttiva, dalla progettazione al montaggio, è controllata con rigore per ridurre difetti e sprechi. I costruttori nipponici privilegiano inoltre soluzioni semplici e robuste. Come diceva Henry Ford, “tutto ciò che non c’è non si rompe”: da qui la scelta di motori aspirati e cambi CVT, meno sofisticati ma più duraturi rispetto alle trasmissioni doppia frizione.
Per Toyota, Nissan, Suzuki o Mazda, l’affidabilità è un vero valore commerciale: la loro reputazione si fonda sulla promessa di auto che “non ti lasciano mai a piedi”. Perdere questa fiducia significherebbe compromettere decenni di lavoro.
Naturalmente, anche le giapponesi hanno punti deboli: alcuni diesel Subaru e Mazda si sono rivelati fragili, e modelli come Toyota Proace City Verso o Mitsubishi ASX condividono componenti europei meno collaudati. Tuttavia, l’immagine di solidità rimane uno dei tratti distintivi dell’auto “made in Japan”.