L'aumento dei prezzi dell'energia colpisce un po' tutte le imprese. Il fatto è che le più esposte sono quelle a maggiore intensità energetica: non solo quelle del settore industria vero e proprio ma anche la pesca, la selvicoltura, che riguarda l'impianto e la conservazione dei terreni boschivi, così come i trasporti e i centri dati. Per misurare l'impatto che il costo energetico ha sulle aziende è necessario sapere in che misura possono trasferire l'aumento dei costi di produzione sui prezzi di vendita.
Le variazioni sono sensibili da un settore all'altro. Alcuni rami di attività la cui situazione era già fragile nel 2021, sono ancora più sotto pressione: esempio tipico sono il trasporto aereo e quello fluviale, l'ortofrutta, il sostegno all'edilizia. Per effetto dei meccanismi di indicizzazione, per esempio, l'aumento dei prezzi ha effetto anche sui salari. In generale, i settori ad alta intensità di lavoro hanno una bassa intensità energetica e viceversa: pochi settori, dunque, subiscono al contempo sia un forte choc energetico che un significativo choc salariale.
In soldoni, facendo questi conti, finisce che l'impatto delle maggiori spese viene trasferito ai consumatori, famiglie o clienti che siano. Saranno loro, cioè noi, a sostenere l'aumento dei prezzi: in media, secondo le statistiche le aziende trasferiscono sui clienti il 60% degli aumenti dei costi.