Il 23 giugno di sei anni fa i cittadini britannici votano al referendum sulla Brexit decretando l'uscita del Regno Unito dal mercato comune dell'Unione Europea. A distanza di tempo il sogno inglese non sembra più tale: tra aumenti delle tariffe commerciali, carenza di lavoratori in settori chiave come quelli dei trasporti pubblico e privato, l'export in affanno. Senza dimenticare il riacutizzarsi della frattura con l'Irlanda.
"Una delle ragioni per cui abbiamo avuto la più forte crescita nel G7 l’anno scorso e torneremo alla crescita più veloce è perché abbiamo avuto il più rapido programma di vaccinazione. E questo perché siamo stati in grado di dare la licenza al nostro vaccino senza ricorrere all’Agenzia europea per il farmaco, che avevamo lasciato. Per questo siamo stati più veloci e siamo stati il primo Paese a iniettare alla gente un vaccino approvato", ha detto il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha detto in un'intervista rilasciata al quotidiano "Il Corriere della Sera".
"Siamo anche stati capaci -ha aggiunto- di attrarre investimenti facendo uso dei nostri vantaggi fiscali, abbiamo tagliato l’Iva sui pannelli solari, cosa che non potevamo fare prima, abbiamo tagliato l’Iva sui prodotti sanitari femminili, siamo in grado di allontanarci dalle regole europee sulla protezione dei dati perché abbiamo un approccio molto differente. Siamo stati in grado di distanziarci dalla Politica agricola comune e sostenere i nostri contadini in maniere diverse. Abbiamo concluso circa 70 accordi di libero commercio nel mondo".
Tuttavia l’inflazione sale a un ritmo forsennato e sfiora l’11 per cento annuo. "Abbiamo un problema particolare causato dal nostro mix energetico -conclude Johnson- ma abbiamo anche un mercato del lavoro colmo: c’è un eccesso di domanda in questa economia. Ma se guardiamo alle previsioni dell’Ocse e del Fondo monetario, torneremo in testa alla classifica di crescita nei prossimi due o tre anni".