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Federagenti: le guerre "Sconosciute" incombono su interscambio via mare

Le affermazioni del presidente Alessandro Santi

Odessa, Chornomorsk, Bab-El-Mandeb, Ashdod, Stretto di Taiwan, Kherson, Bosforo e Dardanelli, Suez. In un Occidente, in un’Europa ed in un’Italia cronicamente distratti, al punto che anche la “guerra in casa”, quella in Ucraina, ha perso gli onori delle prime pagine, questi nomi possono significare poco o nulla. Non per chi opera come Federagenti nel campo dei traffici marittimi e dell’interscambio mondiale via mare. “Perché questi nomi di porti sparsi nel mondo –sottolinea Alessandro Santi, presidente della Federazione italiana degli agenti, raccomandatari marittimi e mediatori marittimi- sono altrettanto punte dell’iceberg di conflitti e di guerre, sempre meno locali e sempre più globali che stanno impattando su nodi strategici del commercio mondiale dal Mediterraneo all’Africa occidentale ed orientale, dal Mar Nero al Mare della Cina, dal Centro America al Sud-Est asiatico, alla Corea”.

“In queste aree ed in questi porti –sottolinea- le scelte geopolitiche hanno preso il sopravvento sulle scelte economiche e commerciali perché il controllo sui flussi di merci e persone con effetti già presenti e potenzialmente devastanti per l’economia e la vita delle popolazioni mondiali è diventato un fattore strategico. E gli effetti si misurano nella scarsità dei prodotti fondamentali per la sopravvivenza delle persone e delle aziende come pure nella spinta inflattiva che arreca conseguentemente i suoi danni con l’aumento dei costi di qualsiasi bene e servizio”. 

Secondo il presidente di Federagenti, la lamentazione quotidiana sulla crisi degli approvvigionamenti di materie prime, dovrebbe lasciare il posto ad un’analisi sulle motivazioni e sulle possibili soluzioni. La gravità della situazione è ad esempio misurabile dal cargo watchlist della Iua (International Underwriting Association) che all’inizio del 2019 presentava 49 aree di rischio di cui 15 nella fascia da alta ad estrema mentre oggi le aree a rischio sono 61 (+25%) e quelle nella fascia alta di conflitti in campo aperto sono balzate a 21 (+40%). 

“Non analizzare e non comprendere che queste tensioni si tradurranno in problemi seri per i trasporti marittimi ma anche nella minaccia di fratture nelle catene di approvvigionamento e, in maniera più ampia, nel minare il concetto di democrazie liberali –aggiunge – è sintomo di una ‘strategia dello struzzo’ che metterà a repentaglio economia ed equilibri sociali nei Paesi occidentali”.

“E non parliamo solo di aree lontane come Taiwan o lo Yemen. Lo stretto di Sicilia come pure il Mediterraneo sud-orientale (Libia, Cipro, Turchia) –afferma Santi- sono e diventeranno sempre più aree di tensione che provocheranno strozzature logistiche oltre a provocare in parallelo un incremento esponenziale dei flussi migratori prevedibili dal nord-Africa verso la nostra penisola, creando le premesse per situazioni fuori controllo”.

“Ci rivolgiamo in anticipo a chi governerà questo Paese ed in ritardo rispetto alla comprensione dei rischi che ci riguardano direttamente: i nostri porti ed i nostri spazi marittimi –conclude– devono diventare snodi efficienti e non colli di bottiglia, devono essere innervati nelle reti Ten-T e nelle catene di valore che si genereranno a fronte di scelte di politica internazionale, devono rispondere alle esigenze di un piano strategico nazionale su energia, materie prime essenziali e transizione ecologica che va pensato e costruito come primario obiettivo del nuovo Governo”.

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