Le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti secondo quanto si legge su Milano Finanza sono in forte calo, mentre crescono quelle dirette all’Unione europea. A causa dei nuovi dazi imposti da Donald Trump, una parte crescente delle merci di Pechino rischia di essere dirottata verso l’Europa, dove le imprese locali devono fronteggiare una concorrenza più aggressiva, spesso sostenuta dai sussidi pubblici cinesi.
Secondo l’ufficio statistico di Pechino, a settembre l’export cinese complessivo è salito dell’8,3%, ma le vendite verso gli Usa sono crollate del 27%, mentre quelle verso l’Ue sono aumentate del 14% e del 30% verso l’Italia. Calcolando su base semestrale (aprile–settembre 2025), Unicredit stima un -25% verso gli Stati Uniti e un +10% verso l’Europa.
Un afflusso massiccio di prodotti cinesi a basso costo potrebbe spingere al ribasso l’inflazione europea, già prevista dalla Bce all’1,7% nel 2026 e all’1,9% nel 2027. L’arrivo di merci più economiche rischia dunque di allontanare l’obiettivo del 2% e complicare le strategie di politica monetaria.
L’Ue potrebbe reagire con nuove misure protezionistiche, ma si trova in una posizione fragile: un eccessivo irrigidimento commerciale esporrebbe i produttori europei a ritorsioni di Pechino, soprattutto sull’accesso al mercato cinese e sulle materie prime critiche.
Il caso Nexperia lo ha dimostrato: il governo olandese, sotto pressione Usa, ha assunto il controllo della società di semiconduttori controllata dal gruppo cinese Wingtech, provocando reazioni di Pechino e limitazioni alle forniture verso i Paesi Bassi.
Bruxelles valuta dazi fino al 50% sull’acciaio e misure di risposta alle restrizioni cinesi sulle terre rare. Tuttavia, molto dipenderà dall’evoluzione dei rapporti tra Trump e Xi Jinping: un eventuale accordo commerciale potrebbe ridurre la pressione sull’Europa, ma per ora il rischio è che il Vecchio Continente resti schiacciato tra le due potenze in una nuova ondata di guerra commerciale.