Dopo l'incidente in cantiere, Fiom Cgil chiede maggior attenzione all'elemento umano: corsi di lingua, formazione mirata e tracciamento dei lavoratori per superare le lacune di un sistema complesso e multiculturale
Migliorare il percorso di integrazione dei lavoratori, puntare sui corsi di lingua, far comprendere a fondo agli operai le indicazioni da seguire sulla sicurezza, permettere al singolo di avere coscienza di quali possano essere le lavorazioni a rischio e quali siano i propri diritti. Questi, secondo uno degli esponenti di Fiom Cgil di Monfalcone, gli aspetti fondamentali che spesso rischiano di passare in secondo piano quando si parla di sicurezza sul lavoro, ma che sono determinanti. Soprattutto all’interno dello stabilimento di Fincantieri della città in provincia di Gorizia, nota principalmente per la grande quantità di lavoratori stranieri.
Lo racconta a Mobilità.news il segretario generale della Fiom Cgil di Gorizia, Michele Orlandini, a seguito dell’incidente avvenuto nello stabilimento di Panzano, Monfalcone, il 27 agosto scorso (vedi Mobilità.news). Un operaio di una ditta appaltata a Fincantieri è precipitato da un’altezza di circa due metri mentre lavorava a bordo della nave Star Princess, di prossima consegna. L’uomo, di nazionalità bengalese e residente a Monfalcone, ha sbattuto capo e bacino, ma fortunatamente è sempre rimasto cosciente. “Questo incidente si inserisce in un contesto di sostanziale rispetto delle procedure, della struttura della sicurezza in quanto tale. Segnaletica e mezzi di sicurezza erano corretti, ma intervengono sempre l’elemento umano e l’elemento fortuito” ha spiegato l'esponente di Fiom-Cgil, che ha anche sottolineato la tempestività del primo soccorso da parte delle figure preposte, evitando quindi il peggio. “Non c’è mai da compiacersi però anche in quello che funziona -ha poi precisato-. Questo è un caso emblematico che ha visto il rispetto delle misure di sicurezza, ma non è mai abbastanza. È importante che venga ribadito che quello sulla sicurezza è sempre un investimento e mai un costo”. “Siamo sempre consci che all’interno di un cantiere che ospita fino a 8-10 mila dipendenti appartenenti a un centinaio di nazionalità diverse, con una struttura veramente complicata da gestire, la sicurezza deve essere il focus principale e va sempre potenziata”.
Situato a Monfalcone, Comune da anni amministrato dalla Lega, la particolarità di questo stabilimento di Fincantieri, il più grande d’Italia, è proprio il numero e la composizione della forza lavoro occupata, spesso al centro del dibattito -e della campagna elettorale-. Tra operai e impiegati, provenienti principalmente dal Bangladesh e dai Balcani, come ha spiegato il rappresentante sindacale si contano circa 1700 persone assunte direttamente da Fincantieri, ma contemporaneamente altri 5-6 mila lavoratori, che possono arrivare anche a 8-9 mila a seconda del carico di lavoro e dello stato di avanzamento della nave, operano all’interno di una fitta rete di aziende in appalto e subappalto, circa 400-450. Aziende che “spesso dopo un appalto oppure un paio di mandati, quindi uno o due anni di carico di lavoro, scompaiono per poi reinventarsi magari con un altro nome”. Tutto ciò al limite della legalità?
In un contesto estremamente multiculturale e variegato come quello di Monfalcone l’aspetto centrale è l’integrazione e la conoscenza dei lavoratori. Orlandini parla di “tracciamento”, anche se il termine “è un po’ brutto perché non si tratta di merci”. “È fondamentale condividere in maniera trasparente e continua il numero di dipendenti, dove sono collocati, a chi fanno riferimento -ha affermato il sindacalista-. Ma anche qual è il loro grado, il livello di alfabetizzazione e quali sono i loro spostamenti interni da una ditta all’altra. Quando la ditta A chiude per mille motivi il lavoratore passa alla ditta B e alla ditta C. Se prima faceva il saldatore e aveva un certo grado di consapevolezza sulla sicurezza legata alla propria mansione, la situazione cambia quando va a fare il ponteggiatore. Questo percorso deve essere tracciato e condiviso, altrimenti si va a perdere tutta quella che può essere la conoscenza sul lavoratore e del lavoratore riguardo ai propri diritti e doveri. Ci deve essere un interscambio permanente che deve impiegare tutti, per far sì che quel know-how, quelle conoscenze del singolo in materia di lavoro e sicurezza non vadano disperse. Un lavoratore conscio di cosa deve svolgere e come lo deve fare fa tutta la differenza del mondo”.